Mi chiamo Giuseppe (Pino) Masciari, sono nato a Catanzaro nel 1959. Ero un giovane imprenditore, affermato al punto di essere uno dei più importanti imprenditori edili che esercitava la professione in tutta la regione Calabria e con cantieri anche all’estero. Il livello di affermazione raggiunta mi ha portato ad una visibilità tale da non passare inosservato agli occhi di soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta. Per tali motivi, sono stato oggetto di intimidazioni mafiose alle quali ho reagito con la denuncia presso la DDA di Catanzaro. 

 

Il senso di giustizia, la voglia di difendere quanto avevo sognato, progettato, costruito, grazie soprattutto all’esempio ricevuto da mio padre, che nel frattempo era venuto prematuramente a mancare, mi avevano spinto ad oppormi fermamente all’azione violenta della ‘ndrangheta, portandomi alla determinazione di denunciare.

Volevo lavorare liberamente e sentivo che era necessario rivolgermi allo Stato e alle istituzioni preposte a vigilare. E così feci. Mi rivolsi alle forze dell’ordine, a magistrati, per capire come comportarmi, per avere un consiglio. Le minacce e le telefonate erano continue. Stavano tentando di farmi cedere alla loro offerta di “guardiania”. Non avevo intenzione di piegarmi, volevo difendere il mio lavoro.

La situazione nel frattempo era peggiorata. Dopo i primi tentavi di avvicinamento arrivarono richieste estorsive dirette, con una pretesa precisa: per ogni appalto di lavoro avrei dovuto corrispondere il 3% del valore di ogni singolo appalto. Di fronte al mio netto e categorico rifiuto di pagare fecero seguito i primi atti intimidatori: danneggiamento dei mezzi, furti, incendi, spari sui cantieri, apparizione di uomini incappucciati con armi in pugno che intimavano ai miei operai di non recarsi a lavoro perché era a rischio la loro stessa vita. Ferirono con colpi di armi da fuoco anche uno dei miei fratelli. Inoltre subivo illeciti amministrativi di ogni genere: mancati pagamenti sugli stati di avanzamento dei lavori per i quali mi chiedevano il pagamento del 6%, calcolato sempre sul valore dell’appalto. Di questo meccanismo di richieste estorsive da parte delle istituzioni, addirittura, si rendeva complice e tramite un alto magistrato, nominato nel 2001 anche Consigliere di Stato. La ‘ndrangheta, quindi, era infiltrata ovunque, anche e soprattutto nel mondo politico istituzionale.

Le vessazioni e i soprusi che subivo ogni giorno, il pericolo al quale ero esposto in prima persona e al quale erano esposti anche i miei familiari e le persone che lavoravano con me, il senso di responsabilità e di giustizia che avvertivo forte, la necessità di porre fine a questa catena di violenza, mi indussero a prendere una ferma e netta posizione. Piuttosto che continuare a lavorare in quelle condizioni, a settembre del 1994, preferii licenziare gli ultimi cinquantotto dipendenti che mi erano rimasti. Questo, tuttavia, non bastò a fermare le azioni di ritorsione nei miei confronti: mi incendiarono anche una macchina sotto casa, con il concreto rischio che l’incendio divampasse anche all’interno dell’abitazione. Ero letteralmente accerchiato.

Le mie denunce si rivelarono tante e tali da essere state causa di esposizione a “grave e imminente pericolo di vita”, per noi tutti. Per questo su proposta della DDA di Catanzaro fummo costretti ad accettare l’inserimento di tutto il nucleo familiare nel programma speciale di protezione. I miei bambini avevano appena due anni e un anno. Mia moglie dovette abbandonare il proprio studio odontoiatrico già pienamente affermato. Avrei voluto rimanere nella mia terra, continuando la mia attività. Non sapevo cosa fosse il programma speciale di protezione testimoni. Mi avevano assicurato che saremmo rimasti nel programma per sei mesi, forse al massimo un anno, il tempo di chiusura delle indagini e istruzione dei processi. Non è stato così.

Sono passati ventisei anni da quel 17 ottobre 1997, che è stato un vero e proprio spartiacque nella vita mia e della mia famiglia. Per tredici anni abbiamo vissuto in località protetta, senza poter rientrare stabilmente in Calabria. Non abbiamo più potuto usare i nostri nomi. Siamo stati costretti all’anonimato e a nasconderci. Non siamo più tornati nella nostra casa, se non di passaggio. Si sono drasticamente interrotti i rapporti con familiari, amici, rete sociale, territorio di origine. Io non ho più ripreso a lavorare. La nostra vita è stata completamente stravolta e non è mai più stata quella che avevamo sognato, desiderato, quella per la quale avevo lavorato, lottato, messo in campo tutte le mie capacità e possibilità per renderla certa, concreta.

Le difficoltà erano tante. Quando io ho denunciato non solo la ‘ndrangheta non era conosciuta come sistema organizzato, ma non vi era nessuna legge a tutela dell’imprenditore che denunciava.

Non è possibile ripercorrere qui tutte le vicende che mi hanno visto protagonista insieme alla mia famiglia nell’arco temporale tra il 1997 e il 2010, racchiuse nel libro “Organizzare il coraggio”, scritto da me e da mia moglie, che si conclude con la prospettiva di un nuovo inizio. Un inizio di una nuova vita, ma purtroppo non è stato così. La costante, in tutti quegli anni e anche dopo, è stata la netta percezione di essere diventati una pratica amministrativa da gestire.

Fra i danni più grossi che ho subito, oltre a non aver potuto più vivere la quotidianità del rapporto con la società, con la famiglia, con la mia terra, c’è sicuramente il non aver potuto più lavorare. Io e mia moglie abbiamo dovuto rinunciare alla nostra giovinezza, i nostri figli alla loro infanzia, un danno biologico e morale incommensurabile. Quando ho denunciato ero già affermato come uno dei più importanti imprenditori calabresi, ma ero giovanissimo, ero solo all’inizio, avevo ancora tantissimo da realizzare, da costruire. Ne avevo le capacità e la concreta prospettiva. Hanno completamente spazzato via il mio futuro.

Chi denuncia, chi si schiera apertamente a difesa della Costituzione merita rispetto, deve diventare esempio positivo, al punto che testimoniare contro chi tenta di rubarti il lavoro diventi la normalità, come è giusto che sia. Invece, nella mia storia come in quella di tanti altri imprenditori e testimoni di giustizia, negli anni c’è stato un avvicendarsi di legittime richieste seguite da silenzi, o da risposte date a metà, da parte dello Stato.

L’ultima vicenda, quella temporalmente più vicina, è l’avvio del procedimento di revoca della scorta che mi è stato notificato ad ottobre 2022. Si è dimenticato che le mie denunce hanno intaccato il sistema ‘ndranghetistico, colpendo le famiglie considerate tra le più potenti delle province calabresi (Arena di Isola Capo-Rizzuto (KR), Trapasso – Scerbo di San Leonardo di Cutro e Cutro (KR), i Cossari di Borgia (CZ), i Sia di Soverato (CZ), i Procopio di Davoli (CZ), i Lentini di San Sostene (CZ), i Mazzaferro di Gioiosa Ionica (RC), i Codispoti di S. Andrea Apostolo dello Ionio (CZ), i  Procopio di Satriano (CZ), i Vallelonga – Franzè di Caulonia-Mammola (RC), i Pisano di Mongiana (VV), i Vallelunga detti “Viperari” di Contrada Ninfo-Serra San Bruno (VV), ecc.) ed hanno portato alla luce numerosi esempi di collusione con la pubblica amministrazione, permettendo anche la condanna per concussione di un alto magistrato, all’epoca nominato Consigliere di Stato.

L’attualità della mia testimonianza si può facilmente constatare leggendo le relazioni periodiche pubblicate semestralmente dalla DIA, dove è chiaro il dato che questi clan continuano a mantenere la propria egemonia in tutta Italia e addirittura anche all’estero. Le recenti operazioni condotte dalle varie DDA descrivono addirittura un panorama ancora più allarmante. Eppure, nonostante ciò, come ciclicamente è successo, dinanzi alla volontà dell’UCIS di revocarmi la scorta, mi sono trovato a dover produrre io giustificazioni utilizzando i loro stessi documenti (relazioni commissione parlamentare antimafia, relazioni DIA, ecc.) che riportano tutti gli elementi per un’adeguata valutazione dell’attualità del rischio.

Chi ha denunciato e si è apertamente schierato contro la ‘ndrangheta rimane a rischio per sempre. Non ci sarà mai un momento in cui si potrà avere la certezza che il pericolo sia passato. Nonostante la sua ramificata ed “efficiente” organizzazione la ‘ndrangheta non è consueta notificare atti di archiviazione di volontà di vendetta ai diretti interessati, così da avere contezza e certezza della fine del cosiddetto “grave e imminente pericolo di vita”. Di contro, invece, la cronaca negli ultimi anni annovera più di un caso di vendetta perpetuata dalla malavita a distanza di numerosi anni dalle denunce o dagli eventi considerati offesa dalle famiglie criminali.

Ho portato la mia testimonianza ovunque, sono stato ospite in centinaia di manifestazioni, ho incontrato migliaia e migliaia di giovani, nelle scuole, nelle Università, nelle sedi istituzionali e in numerosi altri ambienti della società civile, gettando le basi affinché, nonostante la scelta di denunciare sia ancora oggi tutt’altro che scontata e normale, le nuove generazioni possano crescere nella speranza che un presente e un futuro migliore possa esserci, nella prospettiva di lavorare serenamente e liberamente nella propria terra.

Attorno a me, fin dal 2006 si è creato un movimento spontaneo di persone che si sono definiti “Amici di Pino Masciari”. Non sono un’associazione, non hanno tessere, non hanno colore politico, non hanno capi. Sono persone oneste, amiche mie e della mia famiglia, che si riconoscono nei nostri stessi valori e negli stessi ideali di libertà. Credono nel rispetto della Costituzione Italiana e delle leggi dello Stato. Per questo, ognuno di loro nel proprio piccolo, spontaneamente, in completa autonomia, mantengono desta l’attenzione su questi temi e li ritrovo sempre al mio fianco in tutti i momenti in cui ci sono da difendere i diritti sanciti dalla Costituzione. La loro presenza è una presenza discreta ma vigile, che resta accanto a noi come simbolo del cambiamento che vorremmo avvenisse in tutta la società civile. Un simbolo di concreta speranza.

DOCUMENTI

Di seguito alcuni documenti fondamentali per comprendere la mia situazione e di chi, come me, ha intrapreso la strada della denuncia:

Commissione Parlamentare Antimafia

Martedì 14 giugno 2005, seduta 69

Commissione Parlamentare Antimafia

Relazione conclusiva di minoranza del 18 gennaio 2006

Commissione Parlamentare Antimafia

Relazione sui testimoni di giustizia, 19 febbraio 2008