In tempo di crisi cresce il pericolo che la criminalità organizzata infetti l’economia legale. È l’allarme lanciato dal Censis nel XLIV Rapporto sulla situazione sociale del Paese-2010, diffuso ieri.
La presenza della criminalità organizzata contribuisce senza dubbio a determinare \”quel quadro di forte ritardo strutturale delle regioni meridionali maggiormente coinvolte\”, si legge nel documento. Perchè, se è vero che la criminalità organizzata ha ormai allargato i suoi interessi ben oltre il Sud d’Italia e al di fuori dei confini nazionali, è altrettanto vero che nel Mezzogiorno i suoi effetti \”restano decisivi in quanto al Sud si crea un circuito perverso con l’economia, la politica, la società civile, tale da bloccare le iniziative di sviluppo nella legalità\”.
Per Campania, Calabria, Puglia e Sicilia sono stati considerati: i Comuni in cui sono presenti sodalizi criminali, che risultano essere 448; gli enti locali in cui si trovano beni immobili confiscati alle organizzazioni criminali, che sono 441; i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose negli ultimi tre anni, che sono 36. Complessivamente 672 Comuni, pari al 41,8% dei 1.608 Comuni delle quattro regioni, che occupano il 54,8% del totale della superficie territoriale, presentano almeno un indicatore di criminalità organizzata. In essi, rivela il Censis, vive il 79,2% del totale della popolazione delle quattro regioni del Meridione, vale a dire 13.440.130 individui che rappresentano il 22,3% della popolazione italiana. Rispetto a tre anni fa, è aumentato il numero dei Comuni (che nel 2007 erano 610) e conseguentemente sono cresciute le popolazioni coinvolte (nel 2007 pari al 77,2% del totale), nonchè la superficie territoriale interessata (che era il 50,8%).
Gli enti locali ove la pressione mafiosa sembra essere maggiore risultano concentrati in Campania (province di Napoli e Caserta); Calabria (provincia di Reggio e in particolare nella piana di Gioia Tauro); Sicilia, (provincia di Agrigento). Si tratta di circa 380.000 persone che vivono subendo il pesante condizionamento delle mafie.
A settembre 2010 sono oltre 11.000 i beni immobili confiscati alle mafie dallo Stato in tutte le regioni, con l’esclusione della Valle d’Aosta, e tra questi più di mille sono aziende: 6.423 risultano assegnati. Lo rivela il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010, che ricorda come la principale strategia di contrasto alla mafia consista nel colpire i patrimoni dei mafiosi, privandoli del principale strumento di potere e controllo del territorio a loro disposizione, il denaro.
La maggioranza dei beni immobili si trova tra Sicilia (44,7%), Campania (15,1%), Calabria (13,9%) e Puglia (8,3%), ma è elevato il numero di beni confiscati anche in Lombardia (913, pari all’8,3% del totale, di cui 184 aziende) e nel Lazio (482, il 4,4% del totale, di cui 105 aziende); tanto che Milano e Roma si trovano tra le prime dieci province per numero di beni immobili confiscati. La graduatoria provinciale vede in testa Palermo, dove si trova il 30% del totale dei beni sottratti (3.316 in valore assoluto), seguita da Reggio Calabria (9,2%), Napoli (8,3%) e Catania (5,4%); poi Milano, Caserta, Roma, Trapani, Bari e Catanzaro, per un totale di 8.195 beni confiscati in questi territori, pari al 74,2% del totale.
Solo in 13 province non si registra neppure un bene sequestrato. Si tratta di un patrimonio ingente e molto diversificato, che ha comportato però notevoli difficoltà nella fase di gestione e ancor più in quelle di destinazione e consegna, con una quantità di beni destinati (quindi da trasformare in risorsa per la collettività) che a lungo è stata inferiore al numero di quelli confiscati.
Tratto da Quotidiano.net