\”Un invito agli imprenditori che rimangono vittime di questi cosidetti \’incidenti\’: siate liberi! Non abbiate timore o paure, se vi piegate sarete schiavi per tutta la vita, voi e i vostri figli che magari un giorno prenderanno le redini della vostra azienda. Non possiamo parlare di libertà se poi dobbiamo vivere sotto il giogo delle mafie, e le mafie si sconfiggono solo deninciando e facendo i nomi e i cognomi\”.
Questo il commento di Pino Masciari alla notizia della serie di incendi scoppiati nel Mantovano.
Di seguito, la notizia.
MANTOVA. Auto che bruciano «per autocombustione». Incendi ad aziende per corti circuiti. Fatalità. Colpa del caldo, o del freddo. Del caso. Della mancata rottamazione dei veicoli. Se non ci fossero i dati inconfutabili dei vigili del fuoco il discorso potrebbe essere archiviato senza strascichi.
Ma i numeri sono qui, nei registri di chi opera ogni giorno non come manovale delle fiamme, ma con occhio attento. Che spegne le fiamme, ma non i sospetti. Gli incendi dolosi alle auto, in provincia di Mantova, aumentano di continuo. Da gennaio a giugno dell’anno scorso ce ne furono soltanto tre, quest’anno dodici. Quadruplicati.
Un caso? Difficile sostenerlo. Davanti ai resti delle taniche, davanti a ricostruzioni che con la casualità non c’azzeccano nulla. Davanti al tempismo, alla coincidenza. Come quella del 24 giugno scorso, quando vennero incendiati due furgoni di proprietà di muratori di origine calabrese. Distanti pochi chilometri l’uno dall’altro. Dietro, secondo gli investigatori, c’è inequivocabilmente la stessa mano. E la stessa striscia scura lasciata dalla caduta di benzina.
Il proprietario di uno dei furgoni bruciati si dice convinto che si tratti di un fatto accidentale: nessun rogo doloso, la scia di benzina rimasta sull’asfalto è fuoriuscita quando il furgone ha cominciato a bruciare. Il caso, ancora.
«Siamo di fronte ad un fenomeno inquietante, per noi nuovo, ma che ci sta facendo drizzare le antenne. Dare fuoco ad un’auto, ad un trattore, al capannone di un’azienda agricola non fa parte della cultura, chiamiamola così, della nostra zona. Questi sono sistemi importati. E non dalla Finlandia».
L’interlocutore, molto vicino a chi sta indagando sulle azioni dei piromani, non vuole metterci la faccia, ma le idee e i numeri sì. «Dobbiamo smetterla di liquidare tutto come corto circuito e autocombustione. I primi a non farlo sono proprio i vigili del fuoco, che mandano continuamente sui tavoli delle forze dell’ordine le comunicazioni di reato. Dall’anno scorso, per i soli incendi alle auto, sono il 44% del totale. Quasi la metà dei roghi non sono casuali».
Poi lo schiaffo a chi vuol spegnere l’allarme: «Sono sistemi tipici mafiosi. I classici avvertimenti, le intimidazioni. A chi ti ha fatto uno sgarro, a chi ti sta nuocendo negli affari, a chi, non nascondiamolo, non vuol pagare il pizzo». Gli incendi di due trattori nel 2004 a Viadana, dove gli immigrati calabresi inseriti nella società civile subiscono i morsi degli affiliati alle ’ndrine della vicina provincia reggiana, sono stati richiamati in un faldone della Dda in merito ad un’inchiesta per alcuni omicidi nel Cutrese.
Le auto, innanzitutto: non sono quasi mai vecchie, a rischio scoppio, seppure raro, ma nuove e costose. Spegnere le fiamme non basta più, nella provincia del 2011, segnata da un tessuto economico e sociale forte, ma non impermeabile. Lo dimostrano le indagini avviate dagli uffici di via Chiassi e di piazza Sordello. Le bocche sono cucite strette, ma è certo che carabinieri e poliziotti stanno passando al setaccio le figure delle vittime, i proprietari delle auto bruciate. Un passo essenziale per cominciare a tracciare un sentiero credibile.
Parlano numeri e anagrafe. Tra loro ci sono diverse persone di origine calabrese, impegnate in attività edili. «Quelle dove la ’ndrangheta sta cercando di mettere becco in modo deciso anche da noi. Il controllo dei cantieri, il settore movimento terra, è una tacca importante. E fa scattare la guerra». Che, per ora, si limita all’attacco alle auto. «Un avvertimento a chi sembra non voler stare alle regole del gioco. Il loro».
L’errore più grave, ribadisce, sarebbe quello di sottovalutare gli episodi, di classificarli semplicemente come «casi isolati». Se la mafia, la ’ndrangheta sono cosa loro, se da noi non esistono, il singolo che viene intimidito non vede intorno forme di solidarietà e di reazione, quindi tende a tacere per convenienza, e per paura. «Questo è l’unico dei reati in cui le parti offese sono omertose, anzi, mostrano addirittura un atteggiamento di ostilità verso chi cerca di vederci chiaro. Sembra sempre che non vogliano che se ne parli. E’ una costante».
Le cosche, la mafia, i tentativi di estorsione, da problema sociale diventano problema elettrico delle auto, e termico delle aziende. Fino a quando dagli incendi alle auto si passa ai buchi sulle porte delle case. Magari da imputare ai morsi dei topi. «Il fatto che a Mantova non ci sia la Salerno-Reggio Calabria, grandi appalti in cui infilarsi per succhiare denaro non deve far abbassare la guardia. La colonizzazione è cominciata da un bel po\’».
articolo di Rossella Canadè (Gazzetta di Mantova)
Perchè non si parla mai delle forti connesioni con la ‘ndrangheta, dirette o indirette, di molte amministrazioni mantovane, reggiane ecc. ?