Io sono un Testimone di Giustizia,
ho subito minacce e attentati,
ho visto e non so tacere,
conosco i nomi e li ho denunciati
Sono vivo! Aveva ragione don Pino (ndr Puglisi) “un\’altra vita è possibile”
Sono Pino Masciari
Queste le parole di Giancarlo Caselli, procuratore capo di Torino, ed Eleonora Diquattro, pronunciate durante la premiazione della sesta edizione del Premio Puglisi 2010, all’interno di uno scritto pubblicato anche su questo sito.
Chiariamo subito un punto: i sodalizi calabresi continuano ad esercitare una considerevole influenza estorsiva sul territorio. L’estorsione non si limita alle condotte predatorie, ma diviene un adeguato strumento prodromico sul successivo controllo di realtà imprenditoriali ed alla susseguente infiltrazione nel circuito dell’economia. A tenere unito questo “popolo illegale”, di personaggi di diverso profilo, ‘ndranghetisti e collusi, a prescindere dal loro colore politico, è l’affare, il potere.
“Questo potere deriva dai comportamenti della società tutta, siamo noi che glielo consentiamo con l’indifferenza, quel girarsi dall’altra parte per non avere problemi. Non sto dicendo che la Calabria è tutta mafiosa– ci tiene a specificare Pino Masciari – a fare la differenza però, sono ancora pochi e isolati esempi di uomini coraggiosi, come ci ricorda il Procuratore Caselli, mentre la maggioranza della popolazione sembra resti a guardare. Bisogna, invece, individuare le mele marce e smascherarle, tutti insieme, nel quotidiano, tenendo sempre gli occhi aperti e non lasciando sole quelle persone che hanno già deciso da che parte schierarsi, diventare a nostra volta quelle persone”.
I numerosi arresti di questi ultimi anni dovrebbero portarci ad una riflessione profonda sul mutamento che ha subito la ‘ndrangheta nel tempo.
“Non dobbiamo pensare che con gli arresti, seppur numerosi, sconfiggeremo le mafie – continua Masciari – per ogni mafioso arrestato ve ne sono altri pronti a prendere il suo posto. Possiamo indebolirla, ma per veder tramontare il suo potere dobbiamo agire anche su altri fattori. Le mafie hanno fatto un investimento nel tempo, hanno investito sui propri figli ed oggi non sono più necessari i vecchi boss, stereotipi dell’immaginario collettivo, oggi i mafiosi sono laureati, sono dottori, ingegneri, uomini dell’alta finanza e industriali, politici e servitori dello Stato. Spostano facilmente ingenti capitali e non sparano, sono intellettuali, uomini e donne colte, inseriti nei posti di comando, difficili da individuare.”
Nicola Gratteri, procuratore aggiunto e coordinatore della Dda di Reggio Calabria, pochi giorni fa ha detto: «se fuori dalla porta dei pubblici ministeri non ci sono gli imprenditori in fila indiana a denunciare usurai o estorsori, vuol dire che noi non siamo ancora credibili. Che ancora, dal punto di vista giudiziario, non è conveniente denunciare le mafie». Secondo il procuratore aggiunto, in sostanza, «gli imprenditori ritengono ancora più forti le mafie rispetto alle Istituzioni, rispetto allo Stato».
Negli stessi giorni, il presidente della Commissione antimafia calabrese, Salvatore Magarò, ha annunciato la consegna a tutti i sindaci della Calabria di una targa recante la dicitura: \”Qui la \’ndrangheta non entra. I Comuni calabresi ripudiano la mafia in ogni sua forma”.
Ricordiamo che “nell’intera regione – secondo la relazione del primo semestre 2010 della DIA – al 30 giugno, risultano sciolti ed in gestione commissariale, perché condizionati dalla criminalità organizzata, i comuni di Rosarno, San Ferdinando e Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, Sant’Onofrio e Fabrizia in provincia di Vibo Valentia”.
Una mossa di notevole impatto mediatico all’insegna della legalità e della lotta alla criminalità organizzata, quella della Commissione antimafia regionale. Parole che devono, però, essere lo specchio di comportamenti corretti e coerenti, di azioni, di fatti spesi a tutela della collettività, di ognuno di noi che magari poi, quando è chiamato a dare un piccolo contributo alla ricerca di una verità, si chiude.
“Sono necessarie anche le targhe e i proclami – dice Pino Masciari – ma prioritariamente ciò che va cambiata è prima di tutto la mentalità, l’approccio antiquato con cui guardiamo al fenomeno della criminalità organizzata. Dobbiamo comprendere che più legalità significa meno costi e più servizi per tutti, dove ci sono mafie ci sono più costi e meno servizi, insomma conviene a tutti cambiare questo stato di cose”.
“In Italia siamo sull’orlo di un precipizio, sta venendo meno lo stato sociale perché il sistema ragiona come un’azienda, fa affari cercando di trarne maggiori profitti, e all’interno di questa grande azienda ci sono molti rami marci che vanno estirpati. Non abbiamo alternative se vogliamo dare un futuro ai giovani, uscire dalla crisi come una nazione matura e democratica. Dove c’è la criminalità organizzata non c’è democrazia e rispetto della Costituzione, non si è tutelati nei principi fondamentali come il diritto al lavoro, allo studio, alla pari dignità sociale, è la stessa sovranità popolare a venir messa in discussione”.
L’Europa in questo senso può fare molto e, proprio nei giorni scorsi, il Network Flare insieme all’appello di Libera (a cui anche Pino ha aderito), ha riportato l’attenzione generale su ciò che di concreto si può fare contro la corruzione e le mafie, coordinando le forze e facendo “rete”, insieme: Istituzioni e società civile, avvalendosi di tutte le forze disponibili sui territori e, non di meno, quelle oltre i confini nazionali.
“Bisogna che tutti lavoriamo a questo cambiamento, serve mettere in campo politiche di sviluppo, di tutela dei diritti e di formazione. Dico sempre: “loro sono organizzati, noi no” ed è proprio questo che siamo tenuti a fare, partendo dalle scuole, dobbiamo “organizzare il coraggio”. Questo vorrei vedere nella società civile italiana oggi: l’organizzazione delle coscienze.”
Condivido: bene puntare sui più giovani.
Un abbraccio!