\”Ebbene, sì, è giusto. Non lo dico così alla leggera, ma a ragion veduta. Sono un papà, e non voglio nemmeno pensare a cosa si possa provare in una situazione del genere: un figlio tolto ai genitori.
Ma in certi casi purtroppo è giusto, perchè solo crescendo fuori da un certo ambiente si può avere speranza che questo ragazzino diventi un adulto responsabile e non un fuorilegge.
Perchè «il conflitto di interessi tra lui e la madre incapace di indirizzarlo al rispetto delle regole civili e tutelarlo » esiste, e quindi ha un senso tentarle tutte per recuperare un 16enne che potrà forse un giorno diventare un buon cittadino.
Bisogna tentare, sempre. Anche questo è organizzare il coraggio\”
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Togliere il figlio al boss della ‘ndrangheta. Per evitare che cresca male. Sul Corriere della Sera Luigi Ferrarella racconta di una decisione presa da un giudice:
Non si tratta della decadenza dalla potestà sui figli minori che talvolta viene dichiarata dai giudici, come pena accessoria a una sentenza definitiva, quando un boss viene condannato per associazione mafiosa o altri gravi reati: per quanto rari, casi di questo genere si sono già verificati in Calabria almeno dal 2008, quando un grosso latitante si vide privare della potestà sui due piccoli figli. Adesso è molto più anticipata, e perciò anche molto più delicata, l’inedita frontiera aperta invece dal giudice Roberto Di Bella, 48 anni, messinese, da 10 mesi presidente dell’ufficio dove per 13 anni era già stato gip alle prese con 50 omicidi commessi da minorenni e dove ha ritrovato ormai al 41 bis o all’ergastolo molti degli adolescenti conosciuti in passato.
Lo dimostra, ad esempio, la misura adottata per un ragazzo di 16 anni, rampollo di una delle più potenti famiglie di ’ndrangheta, pizzicato con altri amici attorno a un’auto danneggiata della Polizia ferroviaria di Locri:
Il processo per furto e danneggiamento era finito con l’assoluzione per carenza di prove, ma nell’ambito di quelle carte il Tribunale dei minorenni ha messo in fila le tessere di un disastroso mosaico familiare: il padre fu ucciso in un agguato mafioso, i fratelli sono stati tutti arrestati e condannati per associazione mafiosa e omicidi, l’adolescente è segnalato spesso a tarda notte in compagnia di pregiudicati, infila assenze a raffica a scuola da cui infine viene ritirato, parla di sé «con una certa rassegnazione a una vita segnata», la madre «non appare idonea a contenerne la pericolosità come comprovato dalla sorte degli altri figli», e «neppure il contesto parentale allargato» (nonni, zii) «offre garanzie per l’educazione del giovane», avendo la «famiglia » di appartenenza «un ruolo di spicco nella criminalità organizzata del territorio di residenza».
E quindi:
Questo quadro induce i giudici Di Bella e Francesca Di Landro a emettere, su richiesta del pm minorile Francesca Stilla, «un provvedimento limitativo della potestà genitoriale»; a nominare al 16enne un curatore speciale, visto «il conflitto di interessi tra lui e la madre incapace di indirizzarlo al rispetto delle regole civili e tutelarlo »; e a ritenere «indispensabile affidare il minore al servizio sociale per inserirlo subito in una comunità da reperirsi fuori dalla Calabria, i cui operatori professionalmente qualificati siano in grado di fornirgli una seria alternativa culturale».
Fonte: Giornalettismo