Concorso in associazione mafiosa e corruzione: con questi capi di imputazione sono finite in manette trecento persone tra la Lombardia e la Calabria, lo scorso luglio. L’indagine, condotta dal pubblico ministero di Milano, Ilda Boccassini, e dal capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatore, ha svelato un intreccio di affari legati alla ‘ndrangheta, per il controllo di istituzioni pubbliche e attività imprenditoriali in Lombardia. Particolarmente colpita Pavia, che ha visto coinvolti, tra gli altri, il direttore della Asl e l’assessore comunale al commercio.
A Nord come a Sud la criminalità organizzata punta al controllo del territorio, falsa le regole del mercato e della democrazia, annulla la dignità del lavoro, uccide. Un recente rapporto del Cnel, “L’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia di alcune regioni del Nord Italia”, ricostruisce le caratteristiche di questo insediamento. In Lombardia la ‘ndrangheta risulta vincente grazie all’efficienza della sua struttura – basata sui legami familiari e su un sistema di rapporti fluido e orizzontale – e a una straordinaria forza pervasiva e intimidatoria.
Vanta una presenza capillare nel territorio, con interessi che coinvolgono tutte le attività illecite. Negli anni la ‘ndrangheta ha saputo creare in Lombardia una rete di rapporti con soggetti appartenenti alle amministrazioni pubbliche, penetrando nei meccanismi della politica grazie al controllo del voto, soprattutto nei piccoli Comuni. Avvalendosi del supporto di professionisti locali, legati al settore immobiliare, al mondo dell’alta finanza e delle banche – i cosiddetti uomini cerniera – le cosche sono riuscite a infiltrarsi nelle più importanti attività economiche della regione.
La ‘ndrangheta ricicla denaro sporco attraverso l’acquisto di immobili e di esercizi commerciali, presta denaro a usura a imprenditori in difficoltà, salvo poi acquisirne o gestirne indirettamente le aziende. Si aggiudica gli appalti, minaccia i concorrenti onesti e i loro beni. Trae profitto dallo smaltimento illecito dei rifiuti tossici, di cui il territorio nazionale viene disseminato. Tutto ciò aggredisce le fondamenta del tessuto sociale ed economico, creando un giro di affari illeciti di enormi proporzioni.
Solo esaminando i dati sui beni confiscati al Nord, si osserva che circa l’80 per cento di questi si trova in Lombardia, per un valore che supera i 108 milioni di euro per gli immobili, e il milione di euro per le aziende. Milano esercita il potere attrattivo della metropoli facoltosa, offrendo condizioni favorevoli al trasferimento di denaro all’estero e all’incremento delle attività criminali, a livello internazionale. “Bisogna rompere il silenzio e istituire forme di controllo condivise, come l’Osservatorio sociale sulle mafie costruito con ‘Libera’, per tenere alta l’attenzione della società civile sui fenomeni mafiosi”, avverte Nino Baseotto, segretario generale della Cgil Lombardia.
Il timore espresso in questi ultimi tempi è che l’Expo possa diventare uno straordinario volano per l’ulteriore penetrazione della ‘ndrangheta a Milano e in Lombardia. Nell’edilizia la ‘ndrangheta individua la sua principale opportunità di arricchimento e di espansione. Dopo un periodo di crescita ininterrotta, nel 2008 la crisi economica ha determinato una significativa contrazione del settore. La Fillea (il sindacato degli edili) riporta dati nazionali molto preoccupanti, legati alla diminuzione degli investimenti e dei bandi, al fallimento di oltre 2 mila imprese nel 2009, e di altre 7.800 nel primo trimestre del 2010. Sempre nel 2009 si sono persi 137 mila posti di lavoro nel ramo delle costruzioni, di cui 22 mila in Lombardia. In una situazione di tale precarietà, con le banche che chiedono alle imprese in difficoltà il rientro dei capitali, la ‘ndrangheta prospera attraverso l’usura, la presenza diffusa nella catena dei subappalti, il tentativo di controllo delle opere pubbliche.
Una recente ricerca condotta dal sindacato evidenzia un aumento dell’evasione nel settore dell’edilizia, che viene stimata intorno al 58 per cento. La corruzione dilagante risponde alla logica del massimo ribasso, e comporta conseguenze gravissime per la salute e la sicurezza dei lavoratori, oltre a falsare la competizione.
In un simile contesto i lavoratori immigrati pagano un prezzo molto alto. A Milano il settore dell’edilizia è composto per il 50 per cento da lavoratori stranieri. Di questi, il 30 per cento è costituito da clandestini che lavorano in nero. Guadagnano 3 euro all’ora contro i 22 dei colleghi regolarmente assunti. Se denunciano il datore di lavoro vengono espulsi per effetto del Pacchetto Sicurezza. A giovarsene sono gli sfruttatori e le organizzazioni criminali. Il sindacato, da parte sua, è costretto a operare con estrema cautela. Se non è possibile intraprendere una trattativa diretta, perché ciò danneggerebbe il lavoratore clandestino, si cerca la mediazione, consapevoli del fatto che l’esito sarà sempre incerto. I sindacalisti che denunciano sono spesso oggetto di ritorsioni. I lavoratori stessi vivono sulla propria pelle l’omertà e l’isolamento di cui sono fatti oggetto se reagiscono, diventando facile bersaglio di azioni di rappresaglia.
“In occasione degli Stati Generali delle Costruzioni del 2009 avevamo chiesto al governo di migliorare la qualità delle regole – dichiara Walter Schiavella, segretario nazionale della Fillea – ma a distanza di un anno notiamo solo un aumento dell’illegalità”. Contro il caporalato la Fillea lombarda aveva proposto di applicare l’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione nel caso in cui il lavoratore fosse ridotto in schiavitù (pagato, dunque, meno di un terzo dello stipendio minimo), senza formazione sulla sicurezza e in condizioni di ricatto. Ciò avrebbe scongiurato il rischio di espulsione per il denunciante, ma la proposta non è passata in Parlamento.