La penetrazione delle mafie nell’economia legale è cambiata. Così come lo sono i fattori che permettono la fusione tra economia “sporca” e “pulita”. Secondo la Fondazione Res, come riportato nel rapporto “Alleanze nell’ombra. Mafie e economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno”, i confini tra mercati legali e illegali sono «molto più opachi e porosi».
Secondo i ricercatori, infatti, «non si tratta di una mera estensione dell’area dell’illecito nel lecito, quanto di una commistione tra le due aree». Dagli atti giudiziari e dagli elementi emersi nel corso di interviste «con interlocutori privilegiati» sono pochi i contesti dove – si legge nel rapporto – «è stato registrato un rallentamento delle infiltrazioni», circoscritti ad alcune aree della Sicilia Orientale, alla provincia di Cosenza e alle aree extra urbane di Napoli e Salerno.
Secondo la stima condotta dai ricercatori sui costi economici, diretti e indiretti, della presenza mafiosa nei diversi territori, tali costi raggiungono – nelle zone ad alta densità mafiosa – una percentuale in rapporto al Pil superiore al 2,5%, con un picco vicino al 3% in Campania. La ricerca ha però prestato soprattutto attenzione ai meccanismi attraverso cui la presenza delle mafie può condizionare relazioni sociali e attività economiche in specifici contesti di azione. Questo significa tenere presenti i diversi attori in gioco (non solo mafiosi), le loro reti di relazioni, le risorse di cui dispongono, gli obiettivi che perseguono. D’altra parte – sostiene la Fondazione Res – «la forza della mafia è in gran parte attribuibile alla sua capacità di allacciare relazioni, instaurare scambi, creare vincoli di fiducia, incentivare obblighi e favori reciproci».
Accanto all’espansione nelle attività formalmente legali, la mafia continua a trovare nei business illegali la principale fonte di reddito. Il confine fra legale e illegale sé tracciato su alcuni parametri: il rischio, l’incertezza, la mancanza di fiducia, la presenza di elevati costi-opportunità. Sono soprattutto gli investimenti sui mercati illegali a essere soggetti a più elevati profili di rischiosità e a una maggiore incapacità di prevedere opportunità di sviluppo e meccanismi di risposta codificati e consolidati nel tempo. Al contrario, la penetrazione nei mercati legali risulta, per i mafiosi, paradossalmente «meno rischiosa e maggiormente in grado di assicurare rendimenti, opportunità e spazi operativi».
In questo senso la Fondazione Res evidenzia importanti differenze. Esistono settori che rientrano «nell’orbita tradizionale della criminalità» come il commercio o l’edilizia e altri su cui l’attenzione si è concentrata recentemente (sale da gioco, rifiuti, energie alternative). Poi ci sono quelli «stimolati dalla possibilità di intercettare flussi cospicui di risorse pubbliche» come la sanità e altri che vanno oltre la dimensione locale del business, intervenendo nei mercati finanziari o in quelli dello smaltimento dei rifiuti speciali. Sulla base dell’analisi è possibile sostenere che i mafiosi continuano a privilegiare investimenti in settori «protetti», ossia legati a forme di regolazione pubblica, caratterizzati da concorrenza ridotta e, spesso, da situazioni di rendita.
Per meglio analizzare la connessione tra mafia ed economia legale non si può fare a meno di parlare della “area grigia” costituita da soggetti distinti dai mafiosi in senso stretto. Al suo interno – spiegano i ricercatori – si possono distinguere la componente imprenditoriale e quella costituita da professionisti, politici, amministratori pubblici e burocrati. L’area grigia rappresenta il terreno di incontro, dialogo e confronto con soggetti apparentemente insospettabili, che fungono da intermediari e che introducono il rappresentante della criminalità organizzata nel mercato delle attività legali.
Il testo riportato è tratto dall\’articolo \”Economia lecita ed economia criminale. Una commistione che droga il mercato\” di Dario Cirrincione (A Sud\’Europa – Settimanale di politica, cultura ed economia realizzato dal Centro Studi ed Iniziative Culturali \”Pio La Torre\”)