Per i delitti di Brescello e Reggio del 1992 accusati Grande Aracri e due suoi uomini. La svolta grazie al pentito Valerio che sta alzando il velo sul clan al nord
Due uomini sono stati giustiziati nelle loro case, a pochi passi dalle loro famiglie, in maniera per molti versi eclatante e su mandato dei futuri capi clan per far capire a tutti che la ’ndrangheta era forte e spavalda anche al di fuori dei suoi confini naturali.
Una guerra di mafia che nel 1992 ha insanguinato la terra del Po, con Brescello come fronte, fino a Reggio Emilia: gli omicidi di Giuseppe Ruggiero nel paese di don Camillo e di Nicola Vasapollo nella città emiliana, dove si sta svolgendo il processo Aemilia.
Se la faida era rimasta in buona parte irrisolta per un quarto di secolo, oggi ha finalmente volti, mandanti e autori dichiarati, come ha sottolineato giovedì 19 ottobre il procuratore capo dell’antimafia di Bologna, Giuseppe Amato. La Dda ha emesso ordini di arresto in carcere – eseguiti giovedì 19 mattina dalla polizia – per tre dei sei indagati investiti da questo cold case chiamato “Aemilia 1992” in ordine al reato di omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso.
Un lavoro di indagine fitto che segna una svolta giudiziaria importante per l’inchiesta sull’infiltrazione della ’ndrangheta dopo la clamorosa notte del 28 gennaio 2015, in cui tra l’Emilia e Mantova finirono in manette 120 persone.
La svolta è stata impartita grazie anche alle dichiarazioni rese al processo Aemilia dal pentito Antonio Valerio, indagato per i due omicidi, dei quali si è autoaccusato indicando anche gli altri partecipanti. Le sue testimonianze hanno completato il complesso quadro dei due omicidi di ’ndrangheta dell’autunno del 1992. Due veri e propri attentati, con tanto di commando, travestimenti e killer, che giustiziarono nelle rispettive case a colpi di pistola Nicola Vasapollo (crivellato di proiettili nella sua casa di Reggio in via Pistelli mentre era ai domiciliari il 21 settembre del 1992) e Giuseppe Ruggiero (ucciso il 22 ottobre seguente a Brescello da un gruppo di fuoco di uomini travestiti da carabinieri).
Gli arresti avvengono ben 25 anni dopo gli omicidi, tempo durante il quale il clan Grande Aracri si è affermato al nord, creando nel bel mezzo dell’Emilia, a Reggio, e nel Mantovano, l’epicentro del suo radicamento ora al centro del maxi processo Aemilia e del processo Pesci.
Per i due omicidi, che si inseriscono nel quadro della lotta per il predominio tra l’allora cosca dominante delle famiglie Grande Aracri, Dragone e Arena e gli «scissionisti» Ruggiero e Vasapollo, sono stati condannati in via definitiva come mandanti nel 1997 Raffaele Dragone, tutt’ora detenuto e Domenico Lucente, suicida in carcere.
Le indagini della polizia (le due squadre mobili di Reggio Emilia e Bologna e il servizio investigativo centrale) per risolvere i due casi hanno impiegato circa quattro mesi, con un lavoro certosino di esame dei tabulati della vecchia Sip, di incartamenti processuali riguardanti altri episodi riconducibili alla stessa guerra di mafia, di multe stradali, fino all’individuazione delle amanti degli uomini del clan che offrivano loro appoggio e coperture.
Gli agenti della mobile di Reggio Emilia hanno ricostruito «il percorso fatto dai killer per uccidere Ruggiero, transitando su un ponte che oggi non esiste più» ha spiegato durante la conferenza stampa il dirigente Guglielmo Battisti.
«Se fosse un film – commenta il questore reggiano Isabella Fusiello – potremmo parlare di “ritorno al passato”: gli investigatori si sono ritrovati a vivere quegli anni per ricostruire alcune vicende che non erano emerse e su cui oggi è stata fatta piena luce».