Viviamo in un Paese dove ogni tanto bisogna chiedere a tutti di fermarsi un secondo, a trattenere il respiro, per guardarsi in faccia , smettendo di zappare. Fermarsi, contarsi e mettere per iscritto i diritti, almeno quel paio di diritti che contano per riuscire ad alzarsi la mattina con il gusto sempre sveglio della dignità.
Ci si può stare tutta la vita in fabbrica o in mezzo ai campi, in ufficio o per strada, sempre con gli occhi aperti perché siamo un Paese che se non ti tieni una penna sempre in tasca a ricordartelo, oltre alla borsa e al motorino ti portano via le regole. E in un Paese in cui devi andarti sempre a riprendere le regole, le penne sono sempre importanti.E allora, calandoci nel nostro di Paese, restringendo il cerchio e soffermandoci su questo pezzo di terra a forma di piede, non si possono non riprendere le parole dell’imprenditore probabilmente più bersagliato di Calabria:
“C’è una mafia con la penna, più compatta e drammatica della mafia con la pistola”.
Il peso delle parole di Pippo Callipo gravano enormemente su chi subisce, evidentemente poco sui destinatari delle stesse. “In Calabria la legalità è un optional. Si è instaurato negli anni un sistema di gestione politico amministrativo di cui non si può fare a meno per vivere. Chi non è allineato è tagliato fuori”. L’accorata provocazione denunciata da Callipo vuole fare intendere agli inermi correggionali che assistono, che subiscono, “che quelli con la pistola sono dei signori rispetto a quegli altri perché almeno rischiano il carcere o la vita. E poi i morti della mafia con la pistola si possono contare, quelli della mafia con la penna no”.
Ci sono momenti nella vita di un Paese, nella storia di quel Paese, che non crederesti mai che ti potrebbe salvare una penna. Per esempio quella di Pio La Torre che pagò con la vita il suo modo di fare politica. La politica delle regole da ricordare. La politica delle cose da fare. In un Paese che vuole essere normale la prima cosa da fare è riuscire a chiamare le cose con il loro nome. Tutte. Senza giri di parole né giri di paura. Quella penna, la penna di Pio La Torre scriveva per ricordare che i mafiosi andavano chiamati per nome, non con un Don.
Ci sono momenti nella vita di un Paese, nella storia di quel Paese, di quella regione, che quella stessa penna è in mano a persone sbagliate, persone che isolano chi sa dire di no come Pippo Callipo. L’indifferenza del mondo politico (e di quello imprenditoriale) parla solo a se stessa e si autoriproduce. Porta ricchezza a pochi e nessuno sviluppo per tutti.
“Fino al 2002 avevo la tessera di Forza Italia, ma ho lottato contro il precedente governo regionale di centro destra per la sua immobilità e mancanza di attenzione verso i problemi della Calabria. Ho avuto tantissime ritorsioni in cambio. C’è un intercettazione in cui un assessore regionale dice a un’ agenzia di controllo: ‘vai a dar fastidio all’azienda Callipo’. Poi il cambio di governo. La sinistra sembrava più attenta a questi problemi, invece è stata una grande delusione. Durante una fiera internazionale, l’anno scorso (2009 ndr), l’assessore regionale all’Agricoltura Caccia e Pesca, Mario Pirillo, ha visitato tutti gli stand meno quello della mia azienda. E ha ammesso ai giornalisti di averlo fatto per ritorsione contro le mie dichiarazioni, quando avevo detto: è meglio che questa classe politica vada a casa se non sa amministrare. Un comportamento inaccettabile per un assessore regionale, che manda un segnale chiaro alle altre ditte espositrici: attenzione se non siete con me, l’anno prossimo non vi porto più alle fiere internazionali. Ecco perché mi mandano in bestia: agiscono ancora come 40 anni fa. Ed è inutile che vadano a dire dai balconi che rifiutano i voti dei mafiosi. Questo non è vero. In Calabria c’è un silenzio assoluto. Molti hanno paura di dire che sono amici di Pippo Callipo. E mi lasciano solo a dichiarare queste cose. Mentre, dall’altro lato, si continuano a fare commissioni e osservatori. C’è un superprefetto che dice ai giornali che la mafia non è semplicemente infiltrata nella pubblica amministrazione, bensì è proprio dentro l’amministrazione calabrese. Ma allora, invece di parlare sui giornali, perché non ti rimbocchi le maniche e fai qualcosa?”.
Pippo Callipo in un suo intervento alla Luiss del 13 aprile 2010.Pippo Callipo e Pino Masciari (l’imprenditore che ha fatto arrestare i suoi estorsori e non ha avuto nemmeno la scorta per tornare in Calabria a testimoniare al processo) sono due tra i pochi imprenditori calabresi che non si sono piegati. Masciari ha perso la casa e l’attività, con la sua famiglia è costretto a vivere sotto falso nome in una località del Nord Italia, Callipo continua imperterrito, nell’apatia generale di molti ma non di tutti.
Il botta e risposta tra Callipo e la politica segna un’altra puntata della storia. Dopo il suo appello agli studenti dell’università romana interviene addirittura il presidente della Regione (2010 ndr), Agazio Loiero.
“Noto che l’imprenditore Callipo continua nei suoi attacchi senza senso, che annaspano in un mare di populismo, qualunquismo e demagogia. Non so da quale sindrome sia segnato tale atteggiamento…”
Le due penne, quella di Pio La Torre che serviva per appuntarsi le regole e che ha permesso di scrivere, solo dopo il suo assassinio, la legge che istituisce il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, quella che denuncia Pippo Callipo, impugnata dalla classe dirigente locale che continua da decenni a proliferare nel clientelismo, sono ben definite, delineano due mondi complementari. Ma da che parte di questo ring ideale stanno i calabresi?
C’è penna e penna, l’una è l’ombra dell’altra e viceversa, a volte.